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2020.03.04 Il pensiero del giorno Il governo della Fortuna e la prova del Caos, la più politica delle virtutes

di Giulia Corrado

4 marzo 2020

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Se un merito si può attribuire all’epidemia di Coronavirus è quello di aver permesso a società e individui di confrontarsi di nuovo con quello che, da ben prima che esistano società e individui, esiste come Ingovernato ed è stato osservato con terrore fino a diventare oscuro tabù dei nostri sistemi: il Caos.

Non solo ha risvegliato la consapevolezza del nostro essere fragili e mortali, con il senso di essere in balia della biologia così come ogni altro essere a cui consolatoriamente pretendiamo di essere superiori; ma nel nostro essere animali sociali, e quindi in una dimensione ulteriore e politica delle nostre esistenze, ha evidenziato quanto siano fragili gli schemi e le presunte stabilità che si legano alle proprie certezze, abitudini, quotidianità, a quello che abitualmente concepiamo come implicito e acriticamente (se non per la chiacchiera da bar) chiamiamo col nome di “Sistema”, contro il quale ci scagliamo ma dal quale scopriamo poi di sentirci protetti quando minaccia di crollare.

E proprio qui riscopriamo il concetto di Politica: davanti all’effetto domino che ha portato dall’infinitesimale del virus al macroscopico del sistema. Ci si chiede dov’è la falla, cosa non ha funzionato, cosa ha permesso che la grande macchina, della quale il più delle volte siamo ignari, andasse in blocco. Interrogativi che già suppongono una premessa errata, nel momento in cui si propongono di valutare solo la funzionalità della macchina e ne ricercano il guasto, senza badare alla sua complessità di processo e di dinamiche. Un riflesso metodologico di quel positivismo che ha finito col distorcere il concetto stesso di Politico, riducendolo alla mera funzione.

Se dobbiamo individuare una falla, potrebbe essere proprio questa allora: l’incapacità di concepire la centralità del Politico come metodo e come processo. Lo stesso che, al di fuori delle fissità positiviste e delle pretese funzionaliste arenate sui modelli organizzativi, potrebbe essere realmente risolutore di un problema nel suo dinamismo.

Machiavelli scriveva, già cinquecento anni fa a proposito delle imprevedibilità delle Guerre d’Italia, della tremenda difficoltà che un approccio politico comporta: un processo reso complicato dalla fortuna e ancor più dalla sua mutevolezza. Nell’epoca più liquida di tutte, fatichiamo ancora a considerare caotica e mutevole la realtà: speravamo che il progresso, qualunque cosa questa speranza e questo concetto abbiano significato, ci avrebbe dotato anche di schemi predittivi, di argini a questo caos, liberandoci dall’incombenza di confrontarci con esso. Ma le condizioni, le situazioni, le circostanze del mondo non sono predicibili, né sono fisse: e così come per la società, lo stesso principio vale per la vita individuale.

Il buon Principe, per Machiavelli, è quello che governa la fortuna e che è pronto a mutare se stesso davanti alla mutevolezza della fortuna stessa, che al volgersi contrario delle circostanze sa come renderle un’occasione. Perché il governo, e dunque la politica, non è l’esercizio del regno sulle cose fisse, ma l’arte del condurre e dar direzione a quelle mutevoli. Per farsi portatori e attori di questa virtù, occorre però avere il coraggio di uno sguardo disincantato e consapevole davanti al Caos, onesto nel riconoscerne l’esistenza.

Se allora il Caos irrompe nel nostro quotidiano e si manifesta con un’epidemia, perché non provare ad essere più politici davanti a questo guizzo della sorte e ravvedere nel vento contrario un’occasione per provare nuove strade e concepire nuovi modi di approcciarci ai problemi? Perché non uscire dalla retorica del problem solving da santoni delle organizzazioni ed esperti del management e sperimentare con un po’ di gaia scienza anche la dimensione più creativa, poietica, politica che risiede nello sporcarsi le mani con tutto ciò che di caotico celiamo di solito al nostro sguardo?

Potremmo scoprire che il Caos, oltre a terribile e totalizzante minaccia, è un magma di possibilità che solo un’azione lucida (e coraggiosa) può plasmare in qualcosa di completamente nuovo. Forse proprio in quell’atto, politico per metodo e natura, che in momenti di stallo servirebbe per uscire dal cerchio del panico.