2020.03.06 Il pensiero del giorno Il sangue della psiche e il rovescio della conquista

di Irene Battaglini

6 marzo 2020

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«è  il senso la vera holding, non l’oggetto»

André Green

“Agire da primitivo e prevedere da stratega”. René Char, Fogli d’Ipnos, ‪1943-44

Le cose cambiano continuamente, non ci sono epidemie, pandemie o complotti, scenari post-atomici e disegni anti-europeisti più di quanto non ci siano abitualmente da migliaia di anni, e credo che nella storia dell’uomo, non vi sia complotto più doloroso di quello che emerge dal “rovescio della conquista”[1].

Nella dinamica dell’eccidio degli Indiani d’America, non vi era alcun complotto preordinato; nel malvagio commercio degli schiavi d’America, non vi è alcun disegno preconfezionato, poiché le comunicazioni offline non avrebbero permesso una simultaneità degli eventi come oggi si configura nella nostra cultura del sincronismo di rete; nella maggior parte delle nostre relazioni quotidiane, ispirate al reciproco “usarsi” narcisistico, non è alcun mercato regolato da norme online sulla compravendita degli affetti, soprattutto quelli che si accomodano sulla reciproca acquiescienza, che sia basata sullo scambio di bisogni (biologici, sessuali, emotivi, affettivi, economici, sociali) o ammantata di una delicata veste di sublimazione: si tratta, sempre e comunque, di un arcaico sentimento del mondo. Il sentimento del sangue del mondo, che è istintivo ma non ancora pulsionale, è asservito alla forza ctonia ma non è selvaggio, è vitalistico e dunque affine alla morte, alla sopraffazione, al divorare l’altro in quanto non preda, ma risorsa necessaria alla sopravvivenza: un sentimento che uccide una parte di noi, e non (solo) l’altro, quando esperiamo un asettico sadismo, una rinuncia all’immagine del “sangue della psiche”.

Tuttavia il sadismo esprime, sebbene ad una algida temperatura, pur sempre un rapporto con l’oggetto, un qualche segno della potente imago, che sia celestiale o di tenebra, su cui si fonda la nostra personale psicologia. Nel sentimento del sangue del mondo, non vi è spazio per l’immagine della psiche.

Scrive James Hillman[2]: «Si tratta di dare valore all’anima prima che alla mente, all’immagine prima che al sentimento». «Si tratta di dare valore all’anima prima che alla mente, all’immagine prima che al sentimento». Il che, a sua volta, impone di «rinunciare ai giochi di soggetto-oggetto, destra-sinistra, interno-esterno, maschile-femminile, immanenza-trascendenza, mente-corpo», in modo che «l’emozione trattenuta da quelle sacre reliquie possa infrangere quei vasi e tornare a fluire nel mondo».

Dal 22 febbraio, un sabato tra i più duri che io ricordi nella mia storia personale, mi sento trascinata dal desiderio di lasciarmi chiudere dalla spire della non-vita: Milano, Stazione Centrale. I treni che di solito sono un affezionato sintomo del nostro caos, diventano il segno inequivocabile della “psicosi bianca”[3] generata dal non poter stare nel lutto, invischiati come siamo nel sentimento del sangue del mondo. Non è la morte, non è il virus, non è il contagio, non è la paura: che cos’è la paura, se non il segno del mio essere viva. È il catechon che dilaziona e difende, e che io sento come utile e necessario nel suo principio antidolorifico. È Saturno, nel versante che si offre allo sguardo e ne impone una perdurante salificazione. Ma so, dai sogni che mi visitano, un luogo di cui credevo aver perso il diritto di servitù – perché non sono nostri, sono il mondo in cui abbiamo il privilegio di poter essere esploratori di una notte, di un secondo – che “l’immagine del sangue psichico” non è andata perduta.

Anima è sullo sfondo, si è fatta da parte, ha dovuto. Per non essere bruciata viva, per non essere troppo ferita. Si è dovuta nascondere, piange sulla sponda di un “pensiero del cuore” in attesa di tornare ad essere vista: può essere vista solo da chi possiede la vista. È l’anima del mondo che abita il cuore e lo fa ancora sussultare, un cardiopalma d’amore ad opera del dio dell’aurora: un progetto che ci vive, un domani che ci vuole e ci chiama. Io credo sia necessario affilare le armi, individuare una strategia (che non sia resiliente: deve essere invece solo apparentemente nervosa e delusa) e combattere per questa Anima, non è giusto lasciarla da sola.

Anima nella sua meravigliosa mutevolezza, che ogni uomo o donna possiede in scintilla, e che fa del singolo un attore a volte inconsapevole della lotta tra Eros e Thanatos nelle grandi sfide cosmiche. Vi sono esplosioni che uccidono interi “sistemi” solari, vi sono vaccini che uccidono i virus letali e difendono il sistema biologico umano. Potrebbe mai il corona virus lagnarsi per essere stato un giorno debellato dalla cosiddetta scienza?, beh no, ci auguriamo di no. Un oscuro disegno si configura in questo scenario di scambio di ruolo. Il bene non vincerà. Il corpo morirà e dovrà attrezzarsi per godere della sua breve corsa il più possibile.

E allora Anima, in che cosa ci aiuti a comprendere? Quello che cambia, è il nostro modo di percepire la realtà: la nostra capacità di intercettare il reale a tutti i livelli della sua manifestazione. È la vista che si acuisce, e si acuisce attraverso i sensi. I sensi possiedono la inner vision, ma la vista è un organo di senso. Un organo, un piano di note e di tasti, di senso e di significato. Una musica che nessuno ancora conosce, che deve essere “vista” con le mani, dalle mani, da quegli augusti alfieri di impronta che sono i polpastrelli, che tornino a suonarsi tra loro, a stare nella logica dei sensi. E se un giorno troveremo gli amanti addormentati sul finire di una spiaggia, non diremo più: che incoscienti, che esibizionisti. Diremo, finalmente il mondo è vissuto, e Anima si riprende il posto che Catechon le ha conservato, fingendo di asservirsi al sentimento sanguinario che ci ha colto come indigeni, schiavi, bambini abusati, a fare da contrappunto al conquistatore incoronato.

 

 

[1] Cfr.: Miguel León-Portilla, Il rovescio della conquista. Testimonianze azteche, maya e inca. Adelphi: Milano 1974.

[2] L’anima del mondo e il pensiero del cuore. Traduzione di Adriana Bottini. Piccola Biblioteca Adelphi, 2002, 9ª edizione.

[3] Cfr.: A.Green- J.L.Donnet, La psicosi bianca. Psicoanalisi di un colloquio, Borla, Roma 1992.