Sogno, mito e pensiero

di Gabriele Di Maio  24 marzo 2015

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indexSogno, mito e pensiero. Quanto se ne è parlato! Ha ancora senso farlo? Forse no, come molti credono. Ma forse si, se ci concediamo un viaggio tra le costellazioni neurali che tanti misteri ancora nascondono.
La psicoanalisi parla di inconscio anche come di una condizione a cui giungere, e per Freud il sogno ne era la via regia di accesso. E probabilmente non aveva tutti i torti.
Solitamente la domanda fatale sopraggiunge al termine di una disquisizione, insinuando l’ammiccante dubbio…ma questa volta la sua urgenza è impellente, quindi: le persone private di contatti diretti col mondo, come ad esempio i sordomuti e non vedenti dalla nascita, sognano? E’ come chiedersi: fanno parte del nostro mondo, oppure no?
Se per Freud la ormai insinuata convinzione circa la possibilità di rappresentare i processi psichici attraverso espressioni fisiologiche fu il segno e la condanna di un impasse, oggi non è più così; a differenza del lontano 1894, oggi forse é possibile rendere al padre della psicoanalisi il sogno e la aspettativa. Oggi una tomografia assiale computerizzata (TAC) può identificare alcune aree che, se danneggiate, alterano in vari modi l’attività onirica. Sto parlando delle regioni parietali inferiori di entrambi gli emisferi e la regione ventromesiale profonda. Esse, se danneggiate, interrompono la esperienza cosciente del sognare. Cosciente, appunto.
Lesioni in queste aree ci dicono che il fattore principale di cui esse sono responsabili è la capacità di rappresentarsi, concretamente, nella mente, l’informazione attraverso la modalità visuospaziale.
Ma se la esperienza visuospaziale è legata alla esperienza cosciente, in chi ha deficit percettivi nelle modalità sensoriali primarie, si verifica una cessazione della attività onirica o solo della sua parte cosciente?
Del resto, lesioni nelle aree temporo-occipitali ventromesiali comportano la perdita della immaginazione visiva nei sogni, ma ne resta preservata l’attività onirica. Un mezzo di contrasto, questa evidenza scientifica tutta nuova, che però richiama inevitabilmente alla mente la concezione ferencziana che vede il sogno declinato in un momento primario, dedicato alla ripetizione dell’evento traumatico, e in un momento secondario, dedicato alla sua elaborazione.
Lungi dal voler localizzare la attività onirica all’interno delle reti neurali del nostro universo cerebrale, si può invece dire che essa è coinvolta in una dinamica viva e attiva tra i meandri delle connessioni.
Se è vero che il sogno, durante il suo viaggio nel cervello, termina con una rappresentazione percettiva concreta, che lo rende “reale” ( e quindi raccontabile), giustificandone la qualità allucinatoria e delirante, potremmo solo concludere che chi vive una esistenza priva di contatti col mondo, ne è comunque parte integrante, è “uno di noi” ma, al massimo, non è soggetto ai deliri, e forse neanche alle nevrosi, che appartengono al mondo dei sensi che da sempre, imponendoci uno stato di coscienza, ci obbliga a scindere il bene dal male, la luce dal buio, il bianco dal nero, proiettando fuori da noi ciò che invece è esclusivamente dentro, ed è destinato a restarci, nonostante l’umano bisogno del contrario. Cosa è questo, se non un delirio e l’allucinazione di un mondo che, realmente, non esiste?

Forse si, forse è proprio vero che per riuscire a scorgere la veridicità nascosta tra la intuizione circa l’esistenza di neuroni permeabili e neuroni impermeabili legati strettamente dalla forza della conduzione sensoriale, si é reso innanzitutto necessario concepire gli archetipi come l’aspetto psichico della struttura cerebrale. Una bizzarra ironia della sorte ha voluto che Jung si ponesse nel mezzo, come tramite e ponte necessario tra Freud e le auspicate evoluzioni e forgiature scientifiche di cui si sarebbe marchiata la psicoanalisi. Jung, quindi, non ha soltanto posto il Sé al centro sradicandolo dalle profondità dell’inconscio collettivo (Gramantieri, Monti, pp. 91), ma ha posto al centro la funzione creativa del suo genio, dando piena dimostrazione della possibilità, da lui sostenuta, di poter interpretare il sogno servendosi di un atto di amplificazione, non solo di associazioni.
Quanto sono forti le correlazioni tra una simile riflessione e la visione in Freud, Jung e Bion, quindi? Direi che è questo uno di quei casi in cui una connessione, o meglio, una Proiezione ( che sia dinamica o neurale, o entrambe) fa davvero la differenza.
Lancio, quindi, non delle domande, ma l’augurio di coltivare con produttività i semi della certezza, lasciando a questa fecondità un auspicio di riconoscimento: il sogno, con molta probabilità, non è identificabile e non si esaurisce solo nella sua esperienza cosciente, ma è la prova ed il risultato di tutto ciò che c’era “prima”, di tutto ciò che è pre-verbale, pre-conscio, simbolico, risalente all’era in cui non avevamo bisogno di scindere il bene dal male e proiettare fuori persino le divinità.
La espressione della materia ancestrale che risiede nel cervello, prima che nella formazione della mente, e nella mente fatta di simboli, prima che nella formazione delle connessioni neurali di cui siamo dotati oggi. É come tornar a riprendere, nel mare limpido ma sempre vivacemente scosso della psicoanalisi, il concetto bioniano secondo cui pensare e sognare sono espressioni dello stesso meccanismo mentale, poiché il sogno é il mezzo attraverso il quale avviene la conversione in pensiero delle esperienze sensoriali. Del resto, é lo stesso Gramantieri a ricordarci, attraverso le parole di Bion, che la parte più arcaica di pensiero é costituita da preconcezioni, i cui contenuti mentali innati designano uno stato psichico di attese. Esse sono pensiero potenziale (Gramantieri, Monti, pp. 122).
Grazie anche alle neuroscienze, il sogno diviene, di diritto, il risultato e la prova di quel Linguaggio Dimenticato, conferendo maggiore forza alla concezione, sentita e vivida ora più che mai, secondo cui esso va a configurarsi come il processo di “digestione” della realtà (Gramantieri, Monti, pp. 134).
Se è vero che è possibile rintracciare delle corrispondenze tra i macroperiodi storici dell’umanità e le fasi psico-sessuali illustrate da Freud, sorge irrefrenabile l’impulso di chiedersi se ed in che misura il padre della psicoanalisi identificherebbe l’attuale periodo storico in una fase denominata “matura”. E chissà se Sandor Ferenczi, ai giorni nostri, rimprovererebbe ancora alla psicoanalisi il ricorrere ad un metodo troppo intellettuale.

Riccardo Gramantieri-Fiorella Monti, Sogno, mito e pensiero. Freud, Jung e Bion,Persiani,Bologna 2014, 196 pp., euro 16,90.

Bibliografia
Freud, S. (1899-1900), trad. it. L’interpretazione dei sogni, in Opere, 3. Torino: Boringhieri, 1966.
Fromm, E. (1951). Il linguaggio dimenticato. Introduzione alla comprensione dei sogni, delle fiabe e dei miti. Milano: Bompiani.
Gramantieri, R., Monti, F. (2014). Sogno, Mito e Pensiero. Freud, Jung e Bion. Bologna: Persiani.
Jung, C. G. (1916-1948). Considerazioni Generali sulla Psicologia del Sogno. tr. it. in Opere, Torino: Boringhieri.
Jung, C. G. (1982). Gli archetipi dell’inconscio collettivo. Torino: Bollati Boringhieri.
LeDoux, J. (1996). The Emotional Brain. The Mysterious Underpinnings of Emotional Life (tr. It. Il Cervello Emotivo. Alle origini delle Emozioni. Milano, Baldini & Castoldi, 1998).
Lurija, A.R. (1973). Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia. Bologna: Il Mulino, 1988.
Ramachandran, V., S. (2012). L’uomo che credeva di essere morto e altri casi clinici sul mistero della natura umana. Milano: Mondadori.
Sacks, O. (1990). Vedere voci. Un viaggio nel mondo dei sordi. Milano: Adelphi.
Solms, M., Kaplan-Solms, K. (2002). Neuropsicoanalisi. Un’introduzione clinica alla neuropsicologia del profondo. Milano: Raffaello Cortina.