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Uno sguardo interdisciplinare sulla musica e la psicologia delle emozioni

di Pietro Aquino 5 agosto 2015

ManiPianoA volte nella musica si trovano le risposte che cerchi, quasi senza cercarle. E anche se non le trovi, almeno trovi quegli stessi sentimenti che stai provando. Qualcun altro li ha provati. Non ti senti solo. Tristezza, solitudine, rabbia…

dichiarava in un frammento di un suo romanzo Alessandro D’Avenia.
Probabilmente, egli, si riferiva anche alla qualità intrinseca della musica che consente all’ascoltatore di appropriarsi, in un certo senso, del brano musicale, infatti, l’ascoltatore gode della libertà di definire il significato della musica secondo il proprio vissuto soggettivo e culturale. In altre parole il significato attribuito dal compositore e quello del fruitore non sempre coincidono. L’ascoltatore crea, quasi sempre, un significato secondario non legato a quello pensato e proposto dall’autore del brano. Infatti, i vari tentativi, condotti nel passato, di classificazione di musiche “affettive” cioè riconducibili ad un significato emotivo determinato si sono rivelati limitati in quanto non può esistere musica con un valore assoluto in riferimento sia ai diversi contesti culturali sia ai singoli soggetti. In accordo con le teorie della Gestalt, le varie rappresentazioni musicali non si sommano semplicemente le une alle altre ma ognuna di esse concorre a ristrutturare continuamente tutta l’esperienza, di fruizione e/o di produzione, musicale dell’individuo
L’arte dei suoni, nel corso della storia, ha sempre accompagnato l’uomo attribuendo ad essa più o meno importanza a seconda del momento storico. Ad esempio, nell’antica Grecia la musica occupava un ruolo di grande rilievo nella vita sociale e religiosa. Per i greci la musica era un’arte che comprendeva, anche la poesia, la danza, la medicina. Furono proprio i greci i primi musico-teorici ad accorgersi dell’influenza della musica sulla personalità e sulla mente che, attraverso la Teoria dell’Ethos, elaborarono un primo esempio di azione musicoterapeutica. In Grecia la musica era considerata uno dei mezzi più efficaci per l’educazione morale e intellettuale dei cittadini e faceva parte perciò dell’insegnamento scolastico mentre, più tardi, in epoca barocca, fu sancita ufficialmente la vera e propria “teoria musicale degli affetti” (“Affektenlehre”) volta a meglio definire ed inquadrare il rapporto ormai innegabile tra la musica ed i sentimenti, e di conseguenza gli effetti da essa prodotti sull’animo umano (Basso, 2006).
La musicalità, intesa come sensibilità per la musica, sembra essere una capacità umana innata che ci permette, sin da quando entriamo in contatto con mondo, di entrare in relazione con lo straordinario mondo sonoro fatto di suoni, o anche, di insieme di suoni strutturalmente ordinati. L’arte, in genere, presenta delle affinità con il linguaggio ed è una delle poche capacità che si manifestano solo nella specie umana sviluppandosi sotto forma fenotipica. Possiamo, dunque, paragonare la musica al linguaggio, il bambino possiede già, dalla nascita, una base già fissata sulla quale svilupperà il linguaggio attraverso le interazioni sociali. Allo stesso modo l’interazione con stimoli musicali può cominciare prima dalla nascita già a partire dal secondo trimestre della gravidanza periodo in cui Il sistema uditivo diventa funzionale. La conferma che gli esseri umani sembrano essere geneticamente predisposti per rispondere alla musica ci viene fornita dalla ricerca. In particolare, in Italia, un gruppo di ricercatori ha dimostrato che i neonati mostrano una specializzazione emisferica per l’elaborazione della musica fin dalle prime ore di vita e sono già in grado di percepire musica e di discriminare in maniera rudimentale ma quanto necessario per apprendere e distinguere la voce materna da altre voci per permettere e promuovere il processo di attaccamento materno infantile (Saccuman & altr. 2011). Altri studi riportano che I neonati mostrano anche un maggiore impegno e una più prolungata attenzione al canto materno piuttosto che ai discorsi verbali (Nakata e Trehub 2004), forse perché il primo è particolarmente efficace nel modulare l’eccitazione (Shenfield et al. 2003). La musica, dunque, avvia con l’essere umano un rapporto profondo fin dalla nascita. Le caratteristiche vocali, la modalità musicale delle parole materne diventano un veicolo affettivo significativo che legherà il bambino dando vita ad un’iniziazione del Sé infantile. Queste caratteristiche ci indicano che musica e linguaggio hanno ambedue una base innata ma, per far sì che progrediscano e si perfezionino è indispensabile l’influenza ambientale.
La musica è anche espressione culturale. E. Willems dice «La musica è per tutti»; è facilmente reperibile, di facile utilizzo, chiunque può usufruirne ed ognuno sceglie la propria musica in base ai propri intenti. Oramai essa è presente talmente nel quotidiano tanto da non farci caso, ad esempio viene utilizzata come sottofondo nei centri commerciali, sale d’aspetto, televisione, cinema, sale da ballo, inoltre la tecnologia digitale ha ulteriormente incrementato la fruizione musicale. Quest’ultimo aspetto, in relazione alla funzione della musica, ha sollevato un sempre maggiore interesse musicologico che ha coinvolto anche altre discipline, sia nel campo dell’arte sia in quello delle scienze sociali come la psicologia della musica. Un primo argomento dibattuto verte sulla funzione sociale e/o individuale che la musica svolge. Alan P. Merriam (1964), nel cui saggio “Antropologia della musica” mette in risalto le funzioni sociali in una dimensione collettiva. L’autore elenca, principalmente, una serie di significati sociali sull’ espressione musicale come ad esempio il godimento estetico, l’intrattenimento, l’espressione culturale dei popoli.
La fruizione di musica mette in moto, però, anche azioni che interessano l’individuo.
Attualmente, le neuroscienze stanno cercando di comprendere attraverso una varietà di tecnologie, tra cui fMRI, PET, ERP, MEG, e gli studi su specifiche lesioni cerebrali, quali maccanismi vi siano alla base del comportamento umano durante l’ascolto o produzione musicale e soprattutto la relazione tra la musica e ciò che da secoli ha affascinato scienziati e studiosi appartenenti ai più disparati settori, la capacità evocativa della musica.
La musica ha, senza dubbio, un nesso con le emozioni, durante l’ascolto o la produzione, è capace di suscitare cambiamenti emotivi oppure indurre delle rappresentazioni, in altri termini, particolari suoni o musiche possono commuoverci, impressionarci, farci sentire coinvolti, appassionarci e l’elenco potrebbe continuare. Ma qual’ è il segreto di questa capacità evocativa della musica e perché si provano emozioni durante la fruizione musicale. Perché non restiamo indifferenti all’ascolto di un brano di Bill Evans piuttosto che ad un brano pop? Quale vantaggio ci procuriamo nell’ascolto musicale?
Nonostante i correlati neurali della cognizione musicale siano stati ampiamente studiati nell’ultimo decennio, alcuni aspetti restano ancora oscuri alle neuroscienze. In particolare, i ricercatori hanno studiato le emozioni musicali in quanto l’ interesse della scienze verso la musica e la sua relazione con altre funzioni cognitive, ha permesso di acquisire ulteriori informazioni su come è organizzato il cervello umano e come funzionano determinati processamenti cognitivi, anzi, spesso la musica viene utilizzata come strumento di indagine dei correlati neurali, in quanto essa richiede la messa in atto di quasi tutte le funzioni cognitive: attenzione, memoria, motricità, percezione ecc. (Schön-Akiva-Kabiri-Vecchi 2007).
Diversi studi hanno suggerito che l’obiettivo più comune di esperienze musicali è quello di influenzare le emozioni: le persone usano la musica come strumento per regolare le emozioni, a liberare le emozioni, per abbinare la loro emozione attuale, di godere o consolarsi, e per alleviare lo stress (per esempio, Behne 1997; Juslin & Laukka 2004; Sloboda & O’Neill 2001; Zillman & Gan 1997), nonché il ruolo della musica come elemento costitutivo dell’identità sociale degli individui (Nord, Hargreaves, e O’Neill, 2000; Tarrant, Nord, e Hargreaves, 2000; Tekman & Hortac¸su, 2002).
L’interesse dei ricercatori per lo studio sulla musica è motivato dal fatto dalla stretta relazione che essa possiede nell’indurre emozioni poiché quest’ultime sono basilari per la salute e l’equilibrio individuale.
Durante la vita di un individuo, il consumo di musica ha il suo picco durante l’adolescenza (Saarikallio and Erkkila 2007). E’ in questo periodo che il corpo subisce cambiamenti fisici e psicologici che mirano a raggiungere una forma adulta definitiva. Ed è in questa età che la musica viene riflessa come la manifestazione principale di espressione, l’identificazione e la personalità. Come suggerisce Saarikallio, l’adolescenza è stato considerata un importante periodo di età per lo studio della musica nella regolazione dell’umore. La musica ha una forte rilevanza, in particolare per i giovani: gli adolescenti consumano musica in gran parte e la musica una parte importante della loro vita (Christenson e Roberts, 1998; Christenson et al., 1985; Nord et al., 2000; Zillmann e Gan, 1997), e la maggior parte delle forti esperienze legate alla musica si verificano durante l’adolescenza e la prima età adulta (Gabrielsson e Lindström Wik, 2003).
Una interessante studio condotto da ricercatori giapponesi aiuta a spiegare perché le persone piace ascoltare musica triste. I brani musicali impiantati in tonalità “minori” in realtà potrebbe evocare emozioni positive (Kazuo Okanoya, Kentaro Katahira, Kiyoshi Furukawa, Ai Kawakami. Sad music induces pleasant emotion. Frontiers in Psychology, 2013). “In generale, la musica triste induce tristezza negli ascoltatori, e la tristezza è considerata un’emozione sgradevole. Se la musica triste evoca solo emozione sgradevole, non dovremmo allora ascoltare musiche tristi”, hanno scritto i ricercatori nello studio. La ricerca spiega come la musica agisce sul nostro equilibrio psichico, spesso inconsapevolmente. Le persone, a volte, preferiscono ascoltare musiche in tonalità minore e/o tristi sia per meglio superare stati di malessere sia, preventivamente, ad affrontare le loro emozioni negative nella vita quotidiana (diciamo una sorta di esercizio emotivo sperimentato a priori dagli effetti evocati dalla musica). In altri termini, l’ascolto attivo di musica sarebbe una modalità strategica utilizzata, spesso in maniera inconsapevole, come abilità di Coping individuale.

Bibliografia

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Gabrielsson, A., & Lindstöm Wik, S. (2003). Strong experiences related to music: A descriptive system. Musicae Scientiae 7, (2), 157-217.
Kazuo Okanoya, Kentaro Katahira, Kiyoshi Furukawa, Ai Kawakami. Sad music induces pleasant emotion. Frontiers in Psychology, 2013.
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Society for Education, Music and Psychology Research
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