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La capacità a delinquere e la capacità criminale. III parte

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Terza Parte

di Emanuele Mascolo

… Rubrica di Giurisprudenza

 4 settembre 2014

Affinche si possa ben valutare capacità criminale di un soggetto è necessario prendere in considerazione alcuni requisiti. Del primo ne abbiamo già parlato nel precedente articolo (https://www.polimniaprofessioni.com/rivista/la-capacita-a-delinquere-e-la-capacita-criminale-i-parte/) ora passiamo ad analizzare gli altri.

IL MOVENTE.

Il secondo elemento affinchè ci sia la capacità criminale è il movente dell’azione criminosa compiuta.
Ad esempio, passando subito all’analisi giurisprudenziale dell’elemento, una recente sentenza della Cassazione Penale che ha fatto molto discutere è la numero 44480/2012, secondo cui, ” integra, infatti, il delitto di violenza sessuale anche il mero sfioramento con le labbra del viso altrui per dare un bacio, posto che tra gli atti suscettibili di concretizzare il reato de quo possono essere ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, riguardanti zone erogene su persona non consenziente.” 1
La sentenza richiamata è anche importante poichè riapre anche la questione della definizione di ” atti sessuali” ricomprendendone il semplice sfioramento delle labbra.
Sul punto che ci interessa, analizzando quanto sopra, si può ritenere che per gli atti sessuali, la giurisprudenza punisce “qualsiasi condotta che costituisca un’intrusione nell’altrui sfera sessuale, a prescindere dal movente e dalle finalità perseguite dall’agente.”
Questo perchè i giudici, spesso utilizzano il termine ” in modo atecnico.”2 riferendosi alle parti del corpo anatomiche ” che normalmente e notoriamente sono oggetto di concupiscenza sessuale e rientrano nella gamma della c.d. appetibilità sessuale.”
A tal proposito, parte della dottrina ha ritenuto che il giudice,per verificare la sussistenza dell’abuso sessuale, come nel caso di specie della sentenza in esame, non deve valutare solo le parti del corpo aggredite, ” non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite dal soggetto attivo e/o al grado di intensità fisica del contatto instaurato, ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva, esaminando la vicenda con un approccio interpretativo di tipo sintetico, volto, cioè, a desumere il significato della violenza sessuale da una valutazione complessiva di tutta la vicenda sottoposta a giudizio.”3

I PRCEDENTI DEL REO.

Prendendo in considerazione il soggetto di cui deve essere valutata la capacità criminale, vanno valutati i comportamenti precedentemente assunti dal soggetto: le precedenti condanne e i precedenti giudiziari, come anche gli eventuali fatti amnistiati, le aasoluzioni per prescrizione, per mancanza di querela o remissione, per non provata reità.4
IL COMPORTAMENTO CONTEMPORANEO E SUCCESSIVO AL REATO.

Si prende in considerazione il fatto che un soggetto ha l’inclinazione a compiere un delitto tanto maggiore quant’è l’efferatezza, il cinismo, la disinvoltura, la ferocia, la capacità di seviziare la vittima.
Utile ed importante è anche considerare l’atteggiamento posteriore al reato, valutandone l’indifferenz anei confronti della vittima, sentimenti di soddisfazione per il suo gesto, di mancanza di preoccupazione nel riparare il danno.
Potrebbe capitare la situazione in cui un soggetto, si autodenunci e confessi: un punto che va valutato come minor capacità criminosa del soggetto solo se deriva da vero pentimento.

IL CARATTERE DEL REO.

Importante è valutare e considerare la psiche del reo.
Valutare ciò è utile per comprendere la capacitàcriminale, ossia la capacità di determinazione.
Non è da pensare che questio elemento sia un semplice segno rivelatore ma è molto più importante poichè è la base stessa dell’attitudine.5

L’AMBIENTE.

Valutare l’ambiente in cui un soggetto mette in atto la sua capacità criminale, scsaturisce dalla littera legis dell’articolo 133 del codice penale, comma 1, numero 1, che prevede testualmente che ” il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione.”

STRUTTURA ANALITICA DELLA NORMA.

Nonostante la struttura analitica dell’articolo 133 del codice penale, il quale prende in considerazione tutti i requisiti di cui sopra esposto e spiegato, parte della dottrina ritiene che ” la norma manca di indicare i criteri finalistici sottesi, nel senso che non è chiaro se la gravità del fatto e la capacità a delinquere vadano interpretate in chiave retributiva ovvero specialpreventiva. Si tratta di uno snodo dottrinale rilevante, stante la polivalenza dei termini utlizzati, ancora fortemente dibattuto. Secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, la soluzione starebbe nei binomi retribuzione-gravità del reato e specialprevenzione-capacità criminale.”6
Altri sostengono che ” la chiave di volta dell’art. 133 c.p. risiede non tanto negli indici fattuali quanto nei criteri della gravità del reato e della capacità criminale.”7
Un accetto va debitamente posto circa l’ampia discrezionalità lasciata al giudice nel determinare la pena, legata forse all’impossibilità, secondo alcuni, da parte del legislatore di richiamare tutti i casi che possano verificarsi.8
Un aparte di dottrina ritiene questa elencazione minima della norma, ” ” residuo irrazionale” nell’attività del giudice, seppure ineliminabile, vista la normativa sulla determinazione della pena vigente nel nostro ordinamento, non sia ” efficacemente circoscritto”9

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE NUMERO 299 DEL 1992.

Sulla questione su esposta si è espressa la Corte Costituzionale, ritenendo che l’articolo 133 del codice penale, “specifica quali sono i connotati oggettivi e soggettivi del singolo caso dei quali il giudice può e deve tener conto per determinare la sanzione concreta e quali sono gli elementi dai quali egli può desumere le relative valutazioni. E la determinazione legislativa del minimo e del massimo della pena irrogabile per ciascun tipo di reato non rappresenta soltanto un limite alla discrezionalità giudiziale, ma costituisce anche un indispensabile parametro legislativo per l’esercizio di essa, un criterio guida senza il quale il potere così riconosciuto al giudice non sarebbe riconducibile al principio di legalità.
Mediante la determinazione legislativa del minimo e del massimo di pena, infatti, il compito che viene assegnato al giudice è quello di “proporzionare” la sanzione concreta non già al proprio giudizio di disvalore sul fatto previsto dalla legge come reato, ma alla scala di graduazione individuata dal minimo e dal massimo edittali, tenendo conto della volontà del legislatore di comminare il minimo a quelli, tra i casi riconducibili alla medesima fattispecie astratta, che siano connotati da minor gravità e presentino minori indici di capacità a delinquere, e di comminare, d’altra parte, il massimo edittale ai casi che, in base agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., rivestono maggior gravità ed in cui siano ravvisabili indici di maggiore pericolosità personale.
La predeterminazione legislativa del massimo di pena irrogabile per un determinato tipo di reato costituisce quindi un requisito essenziale affinchè la discrezionalità giudiziale nella determinazione concreta della pena trovi nella legge il suo limite e la sua regola e non si traduca, invece, in arbitrio.
Il principio di legalità della pena escluderebbe pertanto la legittimità costituzionale di reati a pena massima indeterminata: tant’è che tale ipotesi non ha modo di verificarsi nel nostro ordinamento, dato che – ove la specifica norma sanzionatoria non indichi il massimo edittale, si deve intendere che essa faccia riferimento alla durata massima prevista in via generale, per le singole categorie di pene, dagli artt.23-26 cod. pen. e 26 cod. pen. mil. di pace.
Ma il principio di legalità richiede anche che l’ampiezza del divario tra il minimo ed il massimo della pena non ecceda il margine di elasticità necessario a consentire l’individualizzazione della pena secondo i criteri di cui all’art. 133 e che manifestamente risulti non correlato alla variabilità delle fattispecie concrete e delle tipologie soggettive rapportabili alla fattispecie astratta. Altrimenti la predeterminazione legislativa della misura della pena diverrebbe soltanto apparente ed il potere conferito al giudice si trasformerebbe da potere discrezionale in potere arbitrario.”10

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1 C. Cass. Pen., Sez. III, 26/09/2012, n. 44480. 2massimo della pena non ecceda il marg

2 Palumbieri, Introduzione, in Cadoppi (a cura di), I reati contro la persona. III. Reati contro la libertà sessuale e lo sviluppo psico-fisico dei minori, Milano, 2006, 53.

3 Fiandaca, voce Violenza Sessuale, in Enc. dir., Agg., vol. IV, Milano, 2000, 1153 ss.

4 F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale,Giuffè, 1989, 567.

5 F. Antolisei, op.cit.,Giuffè, 1989, 568.

6 http://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-v/capo-i/art133.html

7 B. Cruccolini, in F. Palazzo, Corso di diritto Penale, Giappichelli, 2005.

8 F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale. Nozione e aspetti costituzionali, Milano, 1965, in Scritti di diritto penale. Opere monografiche, Milano, 2000, p. 100-101; G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale , Parte generale 5° Ed..Zanichelli, Bologna, 2007. 742.

9 Dolcini, La commisurazione della pena, p.72.

10 C. Cost. 24/06/1992, n. 299.