L’uomo autentico di Don Robertson

di Emanuele Emma 14 settembre 2020

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Cosa rimane di noi se non la passione, e come penseremo di sopravvivere quando questa passione romperà gli argini e si riverserà nel mondo circostante tramutandosi in sangue?

Chiedetelo ad Herman Marshall e forse otterrete risposta.

Marshall è il dissacrante antieroe letterario tratteggiato con rude grazia dalla straordinaria vena di un romanziere caduto nell’ oblio e riscoperto in Italia soltanto nel 2016.

Di Don Robertson ( 1929-1999), nativo di Cleveland, Ohio, autore di diciotto libri, Nutrimenti edizioni ha pubblicato cinque dei suoi romanzi.

In vita ha goduto per più di un decennio di un grande successo, al punto che uno dei suoi romanzi divenne nel 1997 un film per la televisione americana.

L’attività di scrittore gli valse il Putnam Award e il Cleveland Arts Prize for Literature.

Senza mai smettere di scrivere, si è allontanato progressivamente dall’ambiente letterario, anche a causa di gravi problemi di salute, fino a venirne dimenticato.

L’uomo autentico è ambientato nella torrida bava acida del Texas, dove il grande sogno americano è soltanto un fantastico epiteto, e la vita scorre su autostrade protese verso verità indicibili e pensieri logoranti che confluiscono all’unica arteria dell’individualità e del riscatto: il sangue.

Herman Marshall è un uomo veemente senza freni inibitori, figlio della grande depressione ed incarnazione del retaggio culturale violento americano.

Quest’uomo autentico e genuino è stato martoriato dalla vita, ha combattuto i tedeschi in guerra, ha visto morire quello che credeva sangue del suo sangue ed infine ha visto sua moglie spegnersi poco dopo una scioccante confessione su cui ruota il perno del romanzo.

“I treni tagliavano in due col loro suono la densità della notte, e le cicale si strofinavano le zampe e cantavano.

Il traffico sibilava sulla Gulf Freeway, e un auto passò rombando; la radio era accesa a tutto volume.

Lo skyline di Houston, che sembrava una collana di pietre preziose, incombeva sulle cime degli alberi, e Herman Marshall si disse: E’ tutto un mare di cose senza senso, che danno può fare se provo a cambiarle un po’? O parecchio a seconda di come si vuole vederla.”

Gli uomini che popolano l’uomo autentico sono vecchi ed incontinenti, come lo stesso Marshall, bevono birra Shiner e indossano cappelli sbiaditi mentre percorrono le fumose strade texane a bordo di utilitarie vecchie quanto loro.

Sangue, birra e urina sono i liquidi che lubrificano gli ingranaggi narrativi dell’opera e che ne scandiscono il ritmo.

L’uomo autentico è l’empito di un canto di dolore narrato con maestria ed ironico cinismo, nell’ultimo e lancinante tentativo di ridare dignità e senso alla propria vita attraverso un elogio alla follia.

Robertson ripercorre la vita di un uomo scevro di ogni qualità, attraverso una prosa elegante in cui allo stesso tempo coesistono volgarità e sentimentalismi, e che porterà il lettore ad uscire fuori dalle solari certezze della vita.

In fondo Herman Marshall è un bravo ragazzo di Hope, Arkansas.