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Nozione e tipologie di stalking: da una recente sentenza della Corte di Cassazione

stalking_162532di Emanuele Mascolo   18 ottobre 2013

Lo stalking, ovvero gli atti persecutori di un soggetto verso altri, che causano la compromissione della vita quotidiana, sono penalmente rilevanti nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 612bis, c.p.

Questo reato è stato con D.L. 23/02/2009, n.11, convertito in L. 23 aprile 23/04/2009, n. 38.

La littera legis dell’art. 612bis, c.p., è la seguente: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni”.

Ma quante tipologie di stalking ci sono?

In base ad una statistica comportamentale dello stolker possiamo distinguere:

1)                 il “risentito“: si tratta di solito di un ex-partner che desidera vendicarsi per la rottura della relazione sentimentale causata, a suo avviso, da motivi ingiusti;

2)                 il “bisognoso d’affetto”: agisce soprattutto nell’ambito di rapporti professionali particolarmente stretti come quello tra il paziente e lo psicoterapeuta. In questi casi i molestatori fraintendono l’empatia e l’offerta di aiuto come segno di un interesse sentimentale. Spesso il rifiuto dell’altro viene negato e reinterpretato sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di superare qualche difficoltà psicologica o concreta e che prima o poi riconoscerà l’inevitabilità del rapporto amoroso proposto;

3)                 è il “corteggiatore incompetente” che manifesta una condotta basata su una scarsa abilità relazionale e si traduce in comportamenti opprimenti ed esplicitamente invadenti.;

4)                 il “respinto” che manifesta comportamenti persecutori in reazione ad un rifiuto. Questo tipo di stalker è ambivalente perché oscilla tra due desideri contrapposti: da una parte desidera ristabilire la relazione mentre dall’altra vuole solo vendicarsi per l’abbandono subito.

5)                 il “predatore” è uno stalker  che ambisce ad avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La paura, infatti, eccita questo tipo di molestatore che prova un senso di potere nel pianificare la caccia alla “preda”. Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere agito anche da persone con disturbi psicopatologici di tipo sessuale come pedofili o feticisti.

Il reato previsto dall’art. 612bis del codice penale viene punito a querela della persona offesa, con termine per la proposizione della querela di 6 mesi. Può, tuttavia, procedersi d’ufficio, quando il fatto viene commesso nei confronti di un minore di età oppure di una persona con disabilità (L. n. 104/1992) nonché quando il fatto viene connesso con altro delitto per cui debba procedersi d’ufficio.

È, altresì, procedibile d’ufficio quando il soggetto sia stato ammonito ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 8 del D.L. n. 11/2009, convertito in L. n. 38/2009, secondo cui fino a quando non viene proposta querela per il reato di stalking la persona offesa ha facoltà di esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza, avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta.

Affinchè sussista lo stolking, il soggetto che mette in atto tali condotte (detto stalker) deve farlo in modo ripetuto, – chiunque reiteratamente – sostiene la norma, ciò però secondo la Giurisprudenza ormai consolidata, non coincide necessariamente con l’abitudine a compiere determinati atti e quindi l’abitualità non sempre configura la reiterazione del reato.

Infatti, una recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V penale, n. 20993/2013 sostiene che si deve “ intendere per alterazione delle proprie abitudini di vita, ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell’ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima, come nel caso in esame, dalla condotta persecutoria altrui (quali la utilizzazione di percorsi diversi rispetto a quelli usuali per i propri spostamenti; la modificazione degli orari per lo svolgimento di certe attività o la cessazione di attività abitualmente svolte; il distacco degli apparecchi telefonici negli orari notturni et similia), finalizzato ad evitare l’ingerenza nella propria vita privata del molestatore. Trattandosi di reato abituale di evento, è sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo il dolo generico, quindi la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l’integrazione della fattispecie legale e delle conseguenze che ne sono derivate sullo stile di vita della persona offesa.

Invece, come affermato da una dottrina condivisibile non occorre una rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell’apporto che ciascuno di essi arreca all’interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa.

Lo stalking è punito anche se commesso tramite i mezzi di comunicazione all’avanguardia come sms,email, facebook: sono i così detti cyberstalking. Se tali attività comportano una molestia rientrano nella fattispecie dell’art. 612bis c.p.

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Lo stalking si configura anche in caso di reciproche moleste tra vittima e reo.

7 gennaio 2013

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 45648 del 14 novembre 2013, rifacendosi ad un precedente giurisprudenziale, ha chiarito come “ la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita.”

Inoltre ha chiarito che,  alla base di tale decisione milita la considerazione che il reato di cui si discute prevede eventi alternativi la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo: deve trattarsi di un comportamento reiteratamente minaccioso o, comunque, molesto dell’agente dal quale derivi per il destinatario della molestia o minaccia (reiterata), quale ulteriore evento dannoso, un perdurante stato d’ansia o di paura, oppure un fondato timore dello stesso per l’incolumità propria o di soggetti vicini, oppure, ancora, il mutamento necessitato delle proprie abitudini di vita. Ciò comporta la necessità di una indagine approfondita volta ad accertare in quali termini tali condotte “persecutorie” vengano poste in essere ed in quale contesto esse originino e si sviluppino: di guisa che se tali condotte maturino in un ambito di litigiosità tra due soggetti che evoca una posizione di sostanziale parità, non può parlarsi di condotta persecutoria nei termini richiesti dalla fattispecie astratta la quale si riferisce invece ad una posizione sbilanciata della vittima rispetto all’autore dei comportamenti intimidatori o vessatori.

Il termine reciprocità – secondo la Corte di Cassazione -, non vale, dunque, ad escludere in radice la possibilità della rilevanza penale delle condotte come persecutorie ex art. 612 bis c.p., occorrendo che venga valutato con maggiore attenzione ed oculatezza, quale conseguenza del comportamento di ciascuno, lo stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, o il suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone a lei vicine o la necessità del mutamento delle abitudini di vita. Deve, in ultima analisi, verificarsi se, nel caso della reciprocità degli atti minacciosi, vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificarne le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria e le reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura. Né può dirsi che la reazione della vittima comporti, comunque, l’assenza dell’evento richiesto dalla norma incriminatrice, non potendosi accettare l’idea di una vittima inerme alla merce del suo molestatore ed incapace di reagire. Anzi non è neanche da escludere che una situazione di stress o ansia possa generare reazioni incontrollate della vittima anche nei riguardi del proprio aggressore. Il reato in parola si configura come reato di evento in contrapposizione al reato di minaccia di cui all’art. 612 cod. pen. qualificato come reato di pericolo, pur costituendo la minaccia elemento costitutivo comune ad entrambe le fattispecie.”