H.D. Le labbra dell’enigma

di Andrea Galgano  1 ottobre 2021

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Hilda Doolittle (1886-1961), prima donna ad essere insignita dall’American Academy of Arts and Letters, dimora in una linea intensa tra vortice (e vertice) raffigurativo e densità espressiva. Il suo legame musaico esprime, attraverso l’enigma, l’estasi ordinata, l’estremità della voce, il nucleo e il codice immaginativo, la fatale e vorticistica tessitura di una tensione simpatetica, poichè

«Attratta dalla psicanalisi e dall’occulto, dai geroglifici e dalla comunicazione con i morti, H.D. fa una poesia piena di mitologia, caratterizzata dal verso libero e dalla precisione pittorica dell’immagine – per tornare all’Imagismo – un’immagine in movimento ed elementare molto vicina ai pittori del Blaue Reiter[1]».

L’immobilità e il movimento, l’Entusiasmo, la trasgressione antinormativa, l’estasi pittorica non inseguono una sincretistica esposizione delle immagini, e, come teorizzato da Pound, bensì la singolarità dell’immagine in quanto unica, e, potremmo aggiungere, archetipica.

La scelta delle iniziali entra in questa dinamica di coltre sconfinata. È marea, fuga, trascina le rocce della scogliera, lavora pietre grezze, canta un lamento infinito nell’onda che irrompe.

Qualcosa di ricercato, vissuto e perduto, insieme, come un giardino protetto che dissipa bellezza e riparo per richiudersi in una lotta verticale di rigenerazione («Poiché questa bellezza, / bellezza senza vigore, / soffoca la vita. / Voglio che il vento spezzi, / sparpagli questi steli rosati, / ne strappi le cime speziate, / le getti via con le foglie morte»):

«La luce passa / da crinale a crinale, / da fiore a fiore – / la distesa di hepatica, / sotto la luce intristisce – / i petali si rinchiudono, / le cime azzurre si piegano / verso il cuore più blu / e i fiori sono perduti. / Le gemme di corniolo sono ancora bianche, / ma un’ombra dardeggia / dalle radici – / scivola nera da radice a radice, / ogni foglia / ne taglia un’altra sull’erba, / ombra cerca ombra, / poi foglia / e ombra sono perdute» (Sera).

Grazie a Interno Poesia, e con la cura e la traduzione di Giorgia Sensi, Poesie Imagiste[2] di Hilda Doolittle, ci restituisce, come si legge nella prefazione, una lingua naturale:

«priva di costrutti artificiosi, ellittica, il verso è libero e i ritmi sono irregolari, seguono la regola imagista del “non rappresentare ma presentare”, combinano immagini nitide, brusche giustapposizioni, un effetto visivo – tutto un inventario di fiori, alberi, rami, rocce, onde, paesaggi marini e terrestri – ben precisi, ricco di movimento e di azioni, spesso energiche, espresse da verbi dinamici, a volte anche violenti, come calpestare, frantumare, strappare […]» (pp.9-10).[3]

In sea Rose (Rosa di mare), H.D. unisce la violenza della natura alla sua dolcezza, indicando, inoltre, asprezza, pericolosità selvaggia e trasudazione contemplativa:

«Rosa, ruvida rosa, / sciupata, scarsi i tuoi petali, / fiore scarno, sottile, / rade le foglie, / più preziosa / di una rosa umida / sola su un stelo – / sei colta nella corrente. / stentata, piccola la foglia, / sei sbattuta sulla sabbia, / sei sollevata / nella sabbia secca / spinta dal vento. / Può la rosa gialla / trasudare tale acre fragranza / indurita in una foglia?».

L’immagine che oltrepassa la realtà è un allarme di luce, in cui lo scuotimento deriva dal fulcro feroce e indocile del tempo e del reale. Vi sono scricchiolamenti primari, foglie spezzate, dispersione di vortici ed emersione creaturale di Eros:

«La tua statura è modellata / con colpi precisi: / sei cesellato come rocce / erose dal mare. / Nella torsione e presa del tuo polso / e nella tensione delle corde, / c’è un bagliore di ottone levigato. / Il colmo del tuo petto è teso, / e l’ombra è nitida al di sotto / e tra i muscoli errati / delle anche snelle. / Dal contorno dei tuoi capelli serrati / viene luce, / e intorno al tuo torso msachile  / e all’arco del piede e la caviglia diritta».

H.D., la cui cultura proviene dai grandi autori del passato e dalla mitologia greca, che rimodella e ricompatta attraverso le disposizioni immaginifiche dell’io (Adonys, ad esempio, «Ciascuno di noi come te / è morto una volta, / ciascuno di noi come te / è passato tra il flusso delle foglie boschive, / screpolate e piegate / e torturate e spiegate / nel gelo invernale, / poi bruciate in punti dorati, / riaccese, / rigida ambra, / scaglie di foglia d’oro, / oro trasformato e di nuovo saldato / nel calore del sole» e poi Pygmalion, Eurydice), entra nella luminosità inseguendola, espone i dettagli frangibili e protesi, laddove la precisione, il segreto eleusino, la percezione ideogrammatica recano la geografia di un vocabolario senziente e percettivo, in cui l’atto creativo diviene esattezza che deborda: «I pensieri mi lacerano, / temo la loro febbre. / Sono dispersa nel suo vortice. / Sono dispersa come / i semi caldi rinsecchiti».

La sua poesia si riempie di dettagli e vitalità come se fosse seme sparso, e allo stesso tempo, diventa fragranza, perdita e trafittura, aratura dell’anima e orlo di dune. Il portale dell’essere è combattimento per l’esistenza, grido e lancio squarciato, vissuto tra piante e monti, dove la tempesta della natura è partecipata e ostile: «Turbina, mare – / turbina i tuoi pini appuntiti, / schizza i tuoi grandi pini / sui nostri scogli, / gettaci addosso il tuo verde, / coprici con le tue pozze di abete».

L’ossimorica e onirica floridezza produce annunci ed evocazioni nel nudo cuore e polvere d’estate («La sabbia dura si frantuma, / e i suoi granelli / sono limpidi come vino. / Molte leghe più lontano, / il vento, / che gioca sull’ampia riva, / ammassa piccole creste, / e le grandi onde / vi si frangono sopra»), domanda al dio nel colore scuro del ciclamino:

«Giunco / squarciato e strappato / ma doppiamente ricco – / le tue grandi cime / fluttuano sui gradini del tempio, / ma tu sei spezzato dal vento. / La corteccia del mirto / è punteggiata da te, / le squame sono distrutte / dal tuo stelo, / la sabbia spezza i tuoi petali, / la solca con lamina dura, / come selce su pietra brillante. / Eppure benché il vento / frusti la tua corteccia, / sei sollevato, / sì – benché sibili / per ricoprirti di schiuma».

Dopo la saga imagista, come ella stessa la definì, si occupò di cinema ma anche di un lungo lavorìo su Pound e al tributo a Freud, come una linea di segni sul muro.

[1] Farnee R., Ricordando Hilda Doolittle (www.minimaetmoralia.it/wp/approfondimenti/ricordando-hilda-doolittle/), 28 settembre 2020.

[2] H.D., Poesie imagiste, a cura di Giorgia Sensi, Interno Poesia, Latiano (Br), 2021. 

[3] Sensi G., H.D. Imagista, in H.D., Poesie imagiste, cit.,  pp.9-10.

H.D., Poesie imagiste, a cura di Giorgia Sensi, Interno Poesia, Latiano (Br), 2021, Euro 15.

H.D., Poesie imagiste, a cura di Giorgia Sensi, Interno Poesia, Latiano (Br), 2021. 

Bianchi R., Imagismo, in Modernismo/Modernismi, Principato, 1991.

Farnee R., Ricordando Hilda Doolittle (www.minimaetmoralia.it/wp/approfondimenti/ricordando-hilda-doolittle/), 28 settembre 2020.

“Non esiste grande arte senza grandi amanti”. Storia brutale di H.D. (www.pangea.news/hilda-doolittle-storia/), 18 settembre 2021.