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Michael Longley: la sottile maestà

 

di Andrea Galgano  15 aprile 2021

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Michael Longley, classe 1939, di Belfast, allievo del grande grecista W.B.Stanford, fa parte assieme al grande Seamus Heaney, assiepa la bellezza del mistero dalla precisione della lingua, attraverso la riscrittura di Omero, e, come afferma Piero Boitani:

«il paesaggio meraviglioso dell’Ovest irlandese; e l’amore per i particolari più minuti del mondo naturale (inaugurato con forza e delicatezza proprio qui in Angel Hill). Omero non è un semplice oggetto di imitazione, è al centro di una vera e propria ri-scrittura che colloca l’Iliade e l’Odissea, i poemi più antichi della nostra tradizione, al centro del presente: dove regna il conflitto, come nell’Iliade; dove domina la ricerca, come nell’Odissea. Febbraro ha dunque perfetta ragione nel sostenere che in Longley l’originalià è sostituita dalla originarietà. Il poeta procede isolando un grumo narrativo omerico, lo medita a lungo, lo svolge, lo traduce in un istante lirico: in Angel Hill, è “La spilla”, il fermaglio che tiene uniti i due lembi del mantello di Ulisse, ma altrove è l’incontro all’Ade con Anticlea, la madre morta di nostalgia per il figlio che non tornava mai: un solo periodo di diciotto versi e di enorme potenza».[1]

La lampante meraviglia del suo dettato appare evidente in Angel Hill[2] (a cura di Paolo Febbraro, edito da Elliott e vincitore in patria del PEN Pinter Prize), attraverso il doppio movimento della visitazione e della rivisitazione del tempo, attraverso l’orizzonte dell’attrito memoriale, dei luoghi sgranati, dell’incrocio dei depositi temporali (si pensi al ricordo dei campi di battaglia e dei cimiteri della Grande Guerra, in Francia, che egli visitò con la moglie nel 1997 e dove il padre aveva combattuto, tornando segnato), dell’epica ancestrale ed archetipica che risolleva ombre e concede vitalità, come afferma Paolo Febbraro:

«Il poeta torna al passato perché sa che il presente ne è un’articolazione, e quest’articolazione va illimpidita e preservata con un lavoro “onnipresente”, che sembri compiuto appena ieri per freschezza, nitore e assenza di ogni macchia stilistica. Il padre, vecchio soldato ucciso dalla guerra a decenni di distanza, e gli eterni ragazzi sopravvissuti solo nei veri e nei taccuini compongono un quadro vivente che detta al poeta la castità e la fratellanza dello guardo, ma anche la responsabilità di una purezza che è Storia».[3]

Lo svanimento, la perdita, l’immersione, lo stupore toccano il cimitero di Angel Hill, dove riposano i caduti della Prima Guerra Mondiale e diventano il fulcro non solo di un paesaggio dell’anima[4] ma, in particolare, di un tempo del pensiero, di una soglia che ricopre la bellezza dell’avamposto dell’io, come la lente d’ingrandimento di Fleur Adcock («Cara Fleur, per anni ci siamo congedati / ornitologicamente: i pettirossi di East Finchley / e scriccioli e cinciarelle come fatti importanti, / il mio censimento di cigni e trampolieri / dal tempaccio di Carrigskeewaun. / Abbiamo passato la vita nei campi, china / la testa, cercando sul terreno nidi di allodole») o la piccola baia, in omaggio a Kathleen Jamie: «Ho visto il tuo volto / frammezzo ai ciottoli / d’uno stagno delle Highlands. / Spandendosi nell’erba / la marea equinoziale / vi lascia alghe medicinali. / Avrai notato un orbitante / frutto di rosa canina / appeso al cielo, / una passerella scivolosa / far da ponte fra la baia / e gli estremi del mare, / il guscio di un mitilo / colmarsi di pioggia / quando giungi allo stagno».

La vulnerabilità friabile di Carrigskeewaun o la punteggiatura di Belfast sono un orologio di territorio, come il filo ventoso dell’Atlantico che lega precarietà e bellezza, solchi, luce schiacciata e smottamenti, sfumatura dell’anima e conteggio della realtà, attraverso la precisione, l’osservazione minuta ed essenziale, il fascino umbratile delle cose, cui aggiungere la cromatura primaria dell’essere che aggiunge, contorna, offre un insieme di incanto e bellezza alla veglia e all’attesa:

«Hai passeggiato con me un milione di volte / sul sentiero roccioso per Carrigskeewaun / fermandoti nell’insidia dei cerchi delle fate / a cogliere funghi per merende e poesia. / Hai indicato, per un guscio di lumaca / o la piuma di un chiurlo o il fodero vuoto / di un uovo di squalo la parola esatta, sillabe  / e silenzi udibili sul filo ventoso dell’acqua. / Abbiamo seguito le orme della lontra verso Allaran / e atteso per ore sul nostro trono gelato, / per cinquant’anni, marito e moglie, contando / a voce bassa le beccacce e i piovanelli».

A tal proposito, Paolo Febbraro scrive ancora:

«Nei versi del passato, e forse ancor più frequentemente in quelli di questo Angel Hill, il poeta, la sua amata, i suoi amici affiancati nel passo o raggiunti per lettera contano cigni, lontre, oche faccabianca, focene… Il poeta vuole tesaurizzare ciò che vede, controllare maternamente l’entità minacciata della propria prole, preoccuparsi per morti o dispersioni, chiamare a raccolta, inorgoglirsi della propria abilità sensoriale come un cacciatore inoffensivo, e infine battere il tempo dell’esperienza come facendo versi».[5]

Nella nominazione precisa, nello sconfinato amore per la pittura irlandese (Paul Henry e Gerard Dillon), per i naturalisti e i geografi, e per la brevità incolume, nei solstizi di erba delle sabbie, di chiurli e scogliere, Longley decifra l’anima indenne, dove si riunisce corporeità terrena e temperie metafisica, lotta al silenzio e alla dispersione, avvicinamento e sparizione di isole insonni e  l’asprezza rada del Connemara.

La sua sottile maestà, che attinge al vibrante serbatoio latino e greco, incrocia la fenomenologia naturale e la densità dell’istante. Scoperta e ritrovamento, linea concava e simbolizzazione, e poi, infinità naturale indicibilità di ciò che appare consentono alla poesia di Longley, di distendersi in un panorama di amore e bellezza, lasciano orme intatte e illuminando il palcoscenico del mondo.

Il suo repertorio, dunque, trapassa la cortina ombrosa della realtà. È poesia di ritrovamento ed esplorazione, epitalamio di memoria tra cardi, tempeste, storni, voli uditi: «Qualcuno dev’esserci a vegliare sulle lapidi. / Potresti essere tu con pennelli e cavalletto / e i tuoi grandi fogli e il carboncino per ritrarre / strato-cumoli di bucaneve e calligrafia di lichene. / Qualcuno dev’esserci a vegliare sulle ringhiere / e chiuderle il cancello arrugginito alle spalle».

O ancora: «Considera l’uovo del lucherino, / finemente screziato – macchie / e trattini – lilla, pallida ruggine / rossiccia, spruzzi di sangue / traverso un bianco verdastro – / tramonto a finis terrae – insomma / considera l’uovo del lucherino».

Fino al poeta soldato che si salva perché tiene con sé i sonetti di Shakespeare nel taschino e il libro, così, blocca il proiettile, sorvegliando il cuore:

«Il poeta soldato mise nello zaino sapone, / tutore per la schiena, calze, pennello per la barba / (anche se non era tipo da radersi ogni giorno) / borraccia, medicazioni d’urgenza, maschera antigas, / una lattina di sigarette (dono della principessa Mary, / a Buckingam Palace la ragazza della porta accanto), / astuccio da cucito, lacci di scarpe, scovolino, libro paga / e i sonetti di William Shakespeare. / Si grattò via di dosso il fango a Passchendaele e, / prima di spiccare l’assalto, ripose nel taschino / della giacca il libro rilegato in pelle / che bloccò un proiettile a poco dal cuore / e stracciò le poesie salvavita. Poi aspirò / una delle Woodbine della Principessa Mary».

Il toponimo Angel Hill, dunque, diventa il luogo in cui catturare le intimità e le specificità dell’esistenza[6], in cui il luogo selvaggio e melodioso celebra il territorio, per dirlo con un verso del poeta romantico John Clare, dove i poeti amano la natura, e amore sono, «decifratori d’ali in falene e farfalle», per dispiegare lo sperdimento di una foschia marina:

«I poeti amano la natura, e amore sono. / Immagina un cottage fuori mano / presso le dune, l’erba delle sabbie a sussurrare / su lumache in technicolor e uova di sterna, / il gracchio ben desto sul tetto dell’alba, / al crepuscolo i chiurli a zufolare nel comignolo, / e dalla finestra della cucina la scogliera / che ha visto per cinquant’anni i nidi del corvo. / Decifratori d’ali in falene e farfalle, / annoverando pony e cigni del Connemara, / lungo i coltivi abbandonati in riva al lago / si materializzano dalla foschia marina e / nella nebbia di soffioni svaniscono. / Uno ha scritto una bella poesia sul merlo».

 

[1] Boitani P., Longley, l’Omero irlandese, in “Il Sole 24ore”, 4 aprile 2021.

[2] Longley M., Angel Hill, a cura di Paolo Febbraro, Elliott, Roma 2019.

[3] Febbraro P., Introduzione, in Longley M., cit, p.9.

[4] Michelucci R., Longley, la mia poesia al servizio della pace, in “Avvenire”, 8 settembre 2019.

[5] Febbraro P., Introduzione, in Longley M., cit, pp. 10-11.

[6] Brearton F., Angel Hill by Michael Longley Review -, elegies on conflict, grief and Nature, on “The Guardian”, 17 Jun 2017.

Longley M., Angel Hill, a cura di Paolo Febbraro, Elliott, Roma 2019, pp. 179, Euro 19,50.

Longley M., Angel Hill, a cura di Paolo Febbraro, Elliott, Roma 2019.

Boitani P., Longley, l’Omero irlandese, in “Il Sole 24ore”, 4 aprile 2021.

Brearton F., Angel Hill by Michael Longley Review -, elegies on conflict, grief and Nature, on “The Guardian”, 17 Jun 2017.

Michelucci R., Longley, la mia poesia al servizio della pace, in “Avvenire”, 8 settembre 2019.